Il professor Tassinari, (la saluto con commozione, Prof), discretamente esce di scena nel ’63, anno della promozione in B (sopra c’erano la serie A e la serie B di eccellenza) e della conquista del titolo di campione regionale della nostra squadra allievi; ancora lo incontro talvolta al porto con pennelli e cavalletto, so che si diletta di musica, ha anche scritto un libro con una storia ambientata a Rimini. Non credo abbia più visto una partita di basket, forse non ci si raccapezzerebbe nemmeno.
Dopo un anno di transizione, durante il quale la squadra viene affidata a Pippo Manduchi, nel ’64 approda a Rimini “Dido” Guerrieri; proveniente da Forlì, porta con sé humor, cultura cestistica e soprattutto la zona-pressing, una diavoleria tattica giunta fresca fresca dall’America. Arriva anche , da Reggio Emilia, un due metri, Zecchetti, che a fine campionato lascerà buoni ricordi e buffi sparsi. Guerrieri e la zona-pressing ci portano agli spareggi per la serie B (ormai ho perso il conto di quale B si tratti); perdiamo (ci rubano, dicono gli agiografi) di tre punti la finale con l’Italsider di Genova; nomi nuovi si affacciano alla ribalta, Trisciani, “Bozz” Fabbri, Squadrani P. e Parmeggiani. A fine campionato “Dido” ci lascia per ben più prestigiosi lidi (Vigevano). Rimane il ricordo di un tecnico che ha saputo valorizzare al massimo le caratteristiche del materiale umano a sua disposizione; conferma, e questa fama lo perseguita tuttora, che gli manca quel pizzico di fortuna e di grinta necessarie a farne un allenatore vincente.
Si apre così una nuova pagina: arriva da Bologna Gigi Rapini, plurinazionale di basket negli anni ’50 nel ruolo di pivot, tenta la carriera di allenatore in provincia, a Rimini appunto. Porta con sé alcuni giocatori di scuola bolognese, ricordiamo Samoggia, prelevato dalla panchina della Fortitudo e Mezzadri, ala tanto veloce da lasciarsi spesso la palla indietro, e più tardi Degli Esposti, giocatore con buoni trascorsi in serie A. Rapini porta a Rimini la pallacanestro vera: cominciamo a fare conoscenza con blocchi, scivolamenti, dai e vai, zone varie, approfondiamo concetti come anticipo, help e via dicendo. L’impatto è traumatico per qualcuno e si registrano le prime defezioni. Cessano l’attività Stefani ed Ermeti, riprendono a giocare, in compenso, Cervellini e Brancaleoni. Si comincia dunque a vedere un discreto basket a Rimini; per tre anni giriamo un po’ tutta l’Italia centrale, isole comprese, facendo conoscenza coi campi infuocati del Lazio, Toscana, Marche e Umbria, prendendoci anche belle soddisfazioni: vinciamo a Latina, campo imbattuto da 14 anni, fra sputi e cazzotti volanti, a Pisa con fuga precipitosa negli spogliatoi, a Siena Degli Esposti si rifiuta di entrare in campo perché manca la forza pubblica, a Roma, contro l’Ostiense, incontriamo un certo Paolo Rossi. Facciamo anche una puntatina turistica a Cagliari (sconfitta di 25 punti), ammucchiati nella stiva di prua come clandestini. Al ritorno, cabine classe turistica e mare mosso (Charlie, tutto bagnato, a Walter Parmeggiani: “Ci ste te, scienza, che te las avert l’oblò?“). E’ una squadra animata dalla voglia di imparare, da interessi eno-gastronomici (riso e bistecca, cos’è?) e da spirito goliardico insieme (ricordo vari alberghi allagati nel corso di notturne battaglie a secchi d’acqua).
Ci salviamo comunque dopo un drammatico spareggio a tre, noi, Civitavecchia e Terni, dalla retrocessione nel ’67 (retrocedevano sei squadre su dodici quell’anno, a causa della riduzione del numero dei gironi di serie C) e la Sala Mostre diventa uno dei campi più temuti (rimarrà inviolato per circa quattro anni). C’è da registrare, a puro titolo di cronaca e come segno di un costume sportivo che cambia, un “fenomeno” nuovo: al pari dei giocatori importati, che percepiscono un rimborso spese, anche io e Cervellini, che per motivi di studio facciamo la spola fra Rimini e Bologna per allenarci, facciamo le nostre avances. Viene deciso, nel corso di una assemblea generale, dalla quale usciamo come ladri presi in sagrestia (quando ci pensiamo ce ne vergogniamo ancora, sembrava che Carasso se li dovesse togliere di tasca), viene deciso, dicevo, di riconoscerci un rimborso spese di lire 75.000, annue, naturalmente. li fatto riveste comunque un’importanza storica direi (quasi come il voto alle donne, oggi ci sentiamo come delle suffragette); offre anche un nuovo parametro per misurare la crescita del basket a Rimini. Rapini lascerà la Libertas dopo tre anni di proficuo lavoro per allenare la G.D. di Bologna; tenterà qualche esperienza in campo femminile, oggi credo che non svolga alcuna attività in merito al basket.
Non sarà stato un uomo facilissimo sul piano dei rapporti umani e forse neanche allenatore dalle rapide intuizioni in panchina. Però come tecnico e preparatore è validissimo; direi che il primo salto di qualità, anche nella organizzazione societaria (Carasso è segretario), il basket a Rimini lo deve a lui.
Rapini passa (siamo nel ’68) il testimone a Pippo Manduchi, un allenatore fatto in casa dunque, che ne porterà avanti il discorso tecnico. Partono Samoggia e Mezzadri, arrivano da Pesaro “Blando” Scrocco, della Butangas oggi Scavolini, Poderi dal Delfino e Di Tommaso, che ha già disputato un campionato in serie A con la Virtus Bologna, mentre rimane Degli Esposti. Completano la rosa l’immarcescibile Ricci, Cervellini, Brancaleoni, Parmeggiani e Gardini.
Partiamo con l’obiettivo salvezza (per la prima volta siamo destinati ad un girone dell’Italia settentrionale, notoriamente più duro); ci troviamo a disputare invece, grazie ad alcune vittorie memorabili, a Brescia, ad Udine, un campionato entusiasmante, un testa a testa di grande intensità emotiva col Leacril di Mestre, oggi Superga, che era partita coi favori del pronostico. La partita promozione è a Rimini, a tre giornate dal termine; la Libertas, con due punti di vantaggio in classifica, ospita il Leacril. Un inizio travolgente (c’erano circa 1.300 spettatori, un record); sul 15 a 12 per noi viene espulso Augusto Giomo già playmaker della Nazionale e della grande Virtus, giocatore-allenatore della squadra di Mestre; sembra fatta! Invece una maledetta zona 1-3-1, affrontata in maniera inadeguata, ci mette in difficoltà e perdiamo la partita e il campionato, che il Leacril si aggiudica grazie a un calendario finale più agevole.
A fine campionato Pippo Manduchi decide di andarsene: invano Carasso cercherà di convincerlo, facendolo passare e ripassare davanti al portone della Sala Mostre: lui, come Amatore Sciesa, rimane inamovibile nella sua decisione: “Tirem innanz” e sceglie la via dell’esilio sportivo sul Monte Titano. In effetti, invece, la Società non farà nulla per affrontare il discorso “Manduchi allenatore” con serietà, discorso che andrebbe invece approfondito, perché Pippo farà anche delle cappelle a “voglio”, ma ha lavorato con serietà, competenza e passione e, con un anno di anche esperienza alle spalle, andrebbe perlomeno rivisto. Manduchi è scivolato su di una buccia di banana (quella maledetta zona 1-3-1) nella partita decisiva e ha pagato, secondo me (Pippo, non te l’ho mai detto prima, un po’ perché parte in causa, e per l’amicizia che ci lega da tanto tempo e perché in ogni caso hai lavorato in maniera sempre apprezzabile, ma dopo 13 anni… ) il vezzo di fare il playmaker (che libidine) mentre sarebbe stato più utile in panchina. Soprattutto ha dimostrato (forse ve ne siete accorti, questo è un mio pallino) che nessuno, specialmente a Rimini, è profeta in patria, senza inoltrarmi in annose polemiche.
Così, l’anno dopo chiamiamo un altro allenatore da fuori (Rimini è o non è la capitale del turismo?); arriva da Ravenna Lelli, persona squisita nei modi e tecnico rinomato. Partono Degli Esposti e Poderi, mentre Gardini segue Manduchi in esilio; arrivano da Ravenna Pierfederici e da Pesaro Filippetti, giocatore dal tiro mortifero, già capocannoniere l’anno precedente nel girone centrale della serie C, fanno il loro esordio a turno i giovani Benzi, Macori, Ioli, Senigagliesi e Rinaldi. Purtroppo a Filippetti piace giocare per conto suo, e ben presto scopriamo che a Lelli, seppur preparato tecnicamente, mancano personalità e capacità di imporsi. Non gli difetta certo l’onestà, cosicché dopo una serie di sconfitte si dimette e lascia libera la Libertas di prendere le decisioni più opportune; e infatti Filippetti e Scrocco vengono rispediti al mittente, mentre Carasso convince un recalcitrante professor Rinaldi a sedersi sulla panchina.
Infine Rinaldi, del resto sempre ligio alla ragion di Stato, seppur agitato perennemente, si ritrova allenatore della Libertas, proponendo così ai riflettori della serie C un nuovo personaggio (ricordo i dialoghi muti, a smorfie e gesti furtivi, come due giocatori di briscola, da un capo all’altro della panchina, fra Rinaldi e Carasso che impartiva le sue disposizioni… e noi lasciavamo fare).
Concludiamo comunque dignitosamente (sic!) con la salvezza raggiunta anticipatamente un campionato che, se non ha insegnato nulla sotto il profilo tecnico, ha offerto ai più giovani l’opportunità di fare importanti esperienze.