Infine Rinaldi, del resto sempre ligio alla ragion di Stato, seppur agitato perennemente, si ritrova allenatore della Libertas, proponendo così ai riflettori della serie C un nuovo personaggio (ricordo i dialoghi muti, a smorfie e gesti furtivi, come due giocatori di briscola, da un capo all’altro della panchina, fra Rinaldi e Carasso che impartiva le sue disposizioni… e noi lasciavamo fare). Concludiamo comunque dignitosamente (sic!) con la salvezza raggiunta anticipatamente un campionato che, se non ha insegnato nulla sotto il profilo tecnico, ha offerto ai più giovani l’opportunità di fare importanti esperienze.
Sulla base di questa considerazione viene deciso di affrontare il campionato ’70-’71 in regime di quasi assoluta autarchia. Si decide di dare fiducia ai giovani e di riconfermare in panchina quello che chiamerei (come Fanfani nella DC) l’uomo delle crisi: Rinaldi, che nel frattempo, per farsi una cultura cestistica, durante l’estate si è letto tutti i libri di Taurisano.
Rinaldi; ho avuto l’occasione di rivederlo all’opera qualche tempo fa, mi sono testimoni Rick Cervellini e Guido Fraternali, Sacramora A contro Sacramora B. La Sacramora B, con il nostro in panchina, sta perdendo di circa 80 punti a pochi minuti dalla fine; Rinaldi si alza, guarda in faccia uno per uno (si tratta di quattordicenni) quelli seduti, ne afferra uno per le spalle :”Sei pronto ad entrare per menare?”. Quello lo guarda, per un attimo pensa a Gandhi, si vede che vorrebbe magari offrirgli un fiore, poi risponde: “No”. Rinaldi gli getta un’occhiata disgustata, delusa, tipo Cesare a Bruto, poi, rivolto a quello a fianco: “Cola, vai tu!”. Cola, un metro scarso, entra in campo, un attimo di perplessità, si rivolge al coach: “Chi marco, professore?” “Cosa ne so io, prendi il primo uomo libero che vedi!”. Con questa tempra d’uomo raggiungiamo la serie B e questo fatto già potrebbe far cadere tutte le premesse sull’importanza dell’allenatore nel basket. In effetti Rinaldi ebbe il merito di tenere unita una squadra di per sé vincente (lo dimostrano le 5 vittorie esterne di un punto) ed assai equilibrata. Formata per otto decimi da giocatori nostrani, ai quali si aggiungevano il compianto “Pecio” Properzi e Pierfederici, all’esperienza dei “vecchi”, Cervellini, Parmeggiani, io, univa l’entusiasmo dei giovani Ioli, Macori, Rinaldi, Senigagliesi, Tisselli e Torrasi, questi ultimi due già campioni italiani juniores con la squadra di Cantù. La filosofia di gioco di Rinaldi aveva radici lontane: forse influenzato dalle vicende del Vietnam, aveva trovato una nuova parola d’ordine: guerriglia! (Ioli, un tipo mite, a fine campionato si chiuderà in convento). Ogni allenatore ha il suoi verbo, chi la difesa, chi il corri e tira, chi il pressing; Rinaldi, almeno sul piano dell’originalità del pensiero, non lo batteva nessuno. Prima di ogni partita ci raccoglieva negli spogliatoi e ci leggeva dei pensierini inerenti alla partita, scritti in un’agenda che custodiva gelosamente: “Alzate il braccio dopo il fallo” “Duri in difesa” “Attenti a Degli Esposti (Imola), che col suo sorriso beffardo vi frega il pallone” e così via (suppongo che alla sera, causa il surmenage cerebrale, crollasse a terra distrutto). Qualcuno lo ricorda anche come il sexy-allenatore: si presentava all’inizio della partita vestito di tutto punto, poi, a mano a mano che la partita entrava nel vivo, cominciava denudarsi lentamente, voluttuosamente, un capo alla volta fino a restare in canottiera e mutande. Una volta, a Vicenza, ma si sa , in Veneto resiste ancora una mentalità codina, clericale, lo volevano arrestare per oltraggio al pudore: lo salvò Mario F., tutti lo conoscono come speaker della Sacramora fino all’anno scorso, che era allora il nostro accompagnatore: costui, maestro nelle pubbliche relazioni (riusciva a litigare in tutti i ristoranti dove ci fermavamo a mangiare), riuscì a convincere la forza pubblica che il poveretto era inoffensivo e che il suo comportamento era causato dall’eccessiva foga con cui interpretava il suo ruolo. Rinaldi aveva il dono naturale, come avrete capito, di sdrammatizzare il clima di tensione della partita e di farci trascorrere il resto del tempo in grande allegria.
A fine campionato, dopo i festeggiamenti di rito (premio di promozione lire 10.000, che io devo ancora avere), Rinaldi se ne va, modestamente come Cincinnato (a torto da molti ritenuto un beone festante); si dedicherà all’iniziazione dei giovani ai misteri del basket. E infatti il basket a livello giovanile a Rimini rimarrà per lungo tempo avvolto nel mistero.