RIMINI. Si narra che Gianni Agnelli era solito tirare giù ripetutamente dal letto il Trap a ore impossibili, forse anche questo aneddoto, raccontato migliaia di volte dal pluridecorato allenatore di Cusano Milanino, si devono le vittorie in serie della Juve di quegli anni.
È bastata invece una telefonata alle 6 di mattina per cambiare la vita di Piero Pasini e dare un senso diverso alla storia del Basket Rimini.
«Eccome se mi ricordo il mio primo contatto con Rimini – conferma il “Topone” – mi chiamò Gian Maria Carasso all’alba, dormivo profondamente e mi ha fatto la proposta».
Carasso era uno che sapeva vita, morte e miracoli della pallacanestro italiana, sapeva anche che Pasini da Forlimpopoli cercava una sistemazione vicino a casa. «Ero reduce dalla conquista della Coppa dei Campioni con le ragazze della Zolu Vicenza, logisticamente sarei rimasto volentieri in Veneto, ma per problemi familiari volevo avvicinare mia figlia alla Romagna. Non ho esitato un attimo e ho accettato in fretta la proposta di Carasso».
La squadra. Bisogna creare la squadra, i dirigenti e Pasini decidono di puntare forte sull’asse play-pivot. «C’erano pochi soldi – ricorda il coach – e lo sponsor ‘amichevole’ cioé Marr arrivò nella settimana che precedeva il campionato. Mi affiancarono Luca Dalmonte, un tecnico giovane e preparato, fu una bella scelta di Carasso. Il primo acquisto fu Ottaviani, sapevamo che il play era una garanzia, Maurizio Benatti, giocatore splendido, su Wansley andammo sul sicuro e poi costava poco. Il nodo da sciogliere era il numero 4, scegliemmo Sims perché sapeva fare quello che gli chiedevo, era il giocatore giusto per la squadra che volevamo comporre. E volendo alle sue spalle c’erano giocatori come Mossali e Coppari che potevano offrire un buon contributo».
Proprio su Sims, Pasini racconta un curioso episodio. «Gig attraversò un momento difficile, era sull’orlo del taglio. Decidemmo di provare un giocatore, Henry Kelly, due volte capocannoniere del College, tiratore impeccabile. Anche in questo caso Rick Cervellini vide bene, gli americani erano il suo pane. Ma fu un tipo tutto da scoprire: arrivò alla Malpensa in maglietta d’inverno e a Casalpusterlengo aveva già la broncopolmonite. Ma lo provammo subito con Fabriano e nonostante fosse debilitato segnò 32 punti nel solo primo tempo. La domenica successiva giocammo con Brindisi, Sims disputò una prova discreta, eravamo indecisi sul da farsi. Volete sapere come mi sono tolto i dubbi? La sera andammo tutti all’Embassy, invitati da Otis Howard. Appena arrivai vidi Kelly fradicio di sudore che ballava come un disperato in mezzo alla pista. Il giorno dopo aveva già il biglietto per gli States».
Il campionato. I pronostici degli addetti ai lavori non davano scampo alla Marr e l’inizio di stagione sembrava dar ragione a Superbasket e compagnia. «Non fu una gran partenza, tutt’altro, due vittorie nelle prime due partite e se la memoria non m’inganna tre nelle prime nove. Arrivò la partita contro Reggio Calabria, probabilmente se avessimo perso mi avrebbero esonerato. Il finale fu incredibile: eravamo punto a punto, in lunetta andò il grande C.J. Kupec, uno che aveva il 91% ai liberi, li sbagliò entrambi e vincemmo la partita di due punti. Quella partita e la successiva vittoria a Venezia rappresentarono la svolta del nostro campionato».
In realtà furono otto vittorie in nove partite (l’unico ko il furto in casa Yoga) e si cominciò a pensare in grande. «La squadra prese fiducia, era consapevole del proprio potenziale e il gruppo cominciò a seguirci, palasport pieno la domenica e un seguito importante anche durante gli allenamenti settimanali. La gente si riconosceva in quella squadra, dal cuore italiano e operaio».
La chimica. La forza del gruppo non è una frase fatta quando si parla della Marr 1983-84. «Allenavo giocatori estremamente intelligenti, ognuno capiva quale era il proprio ruolo e lo ricopriva alla perfezione. C’erano gli schemi per il tiro di Ottaviani, il contropiede era per Cecchini, il famoso contropiede ‘col fischio’ visto che Giorgio scappava, fischiava e gli arrivava la palla, la regia perfetta di Benatti, la garanzia che assicurava Ernesto dentro l’area, l’imprevedibilità di Sims. Ancora adesso mi viene da sorridere quando ripenso allo schema più riuscito di quel periodo, perfetto per le nostre caratteristiche: un gioco di blocchi, con Wansley fulcro dello schema, per sfruttare la velocità di Cecchini che andava a concludere. Abbiamo sorpreso tutti almeno una volta e dopo tanti anni qualche allenatore lo sta riscoprendo».
Dica la verità: non si sarebbe mai aspettato di ritrovare tutti i ragazzi assieme. «Assolutamente no, per questo va applaudito il lavoro della famiglia Gambetti e del Comitato che ha organizzato questa splendida iniziativa. Ci saremo tutti, qualcuno con un po’ di pancetta. Beh, io in realtà l’ho sempre avuta, vedremo gli altri».
Carlo Ravegnani, 3 settembre 2009
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