Avevo conosciuto John McMillen nell’inverno 1984/85, la stagione successiva alla promozione della MARR.
Era venuto in Romagna da Bologna, dove allora abitava (e dove ha sempre abitato, sino all’ultimo). Ci aveva avvertito che avrebbe viaggiato con Lella, sua moglie, per cui in famiglia avevamo pensato di fare “gli onori di casa” offrendo loro il miglior prodotto da esportazione che potessimo reperire: le tagliatelle del leggendario Ristorante Zaghini, a Santarcangelo di Romagna.
Il pretesto di quel viaggio era conoscerci, di persona.
Ci accomunava la figura di Gig Sims: noi, la sua famiglia italiana. Loro, i suoi grandi amici, coloro che addirittura avevano aiutato Gig a trovare un ingaggio nel nostro paese. John, infatti, si occupava professionalmente di scouting e seguiva alcuni giocatori (tra cui, appunto, Gig) per Luciano Capicchioni.
Prima di incontrare John, sapendo che era stato giocatore di talento e di fama internazionale, mi aspettavo di incontrare una sorta di armadio semovente (memore delle spalle imponenti di Gig e del “sederone” di Ernest Wansley). In realtà McMillen era filiforme, quasi etereo: i capelli ricci biondi, i placidi occhi azzurri e una discrezione fuori del comune mi stupirono profondamente. Sembrava un angelo troppo cresciuto: questo pensai, scorgendolo da lontano. Mi accorsi, tempo dopo, che in fondo non sbagliavo.
John era una persona mai inopportuna. Parlava con discrezione, con tono sicuro e tranquillo e con quell’inflessione tanto “americana” da risultare quasi hollywoodiana. Era, soprattutto se rapportato all’ambiente sportivo di riferimento, un’anomalia, un vaso di terracotta tra omologhi di piombo (in senso emotivo e certamente non per fragilità), un gentiluomo sensibile che aveva a cuore le sorti dei giocatori e degli amici, ruoli spesso coincidenti: non a caso a tavola parlammo a lungo di Gig sempre con estremo affetto, per noi forse scontato ma per John e Lella decisamente incredibile. John avrebbe convocato di lì a poco Gig in Italia per una tournee estiva con altri americani: speravamo tutti riuscisse a trovare un nuovo ingaggio che lo riportasse nel nostro paese ad un anno di distanza dall’esperienza riminese.
Lella era, invece, estroversa e brillante, solare e loquace. Vedendoli pensavi alle metà di una stessa mela, alla realizzazione del concetto di coppia: loro, così complementari. Erano, sono, una bella famiglia, dotata di sentimento e di riconoscenza. Per anni abbiamo ricevuto la loro tradizionale cartolina natalizia, nella quale erano sempre raffigurati i figli Margot e Michael vestiti a festa, prima piccolini e ogni anno più grandi, con la quale la McMillen family augurava ai destinatari un buon Natale attraverso la forza dell’amicizia e dell’amore, ben rappresentati da quella famiglia che letteralmente “traboccava” d’invidiabile affetto.
Addio John, allenatore gentiluomo. Il mondo, non solo del basket, sentirà la tua mancanza.
Nicola
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