E così, dopo più di quindici anni, il basket italiano non riesce ad aggiudicarsi neppure una Coppa europea. Beh, cosa ce ne cale, a noi di Rimini? A parte la nostra vocazione europeistica e a parte gli sfottò che mi devo sorbire da Milan Maric, il discorso ci interessa. E’ in atto un grosso dibattito in merito: e riguarda il modello americano cui si ispira il nostro basket. E l’uso e l’abuso che facciamo di giocatori americani, la possibilità che i nostri giovani hanno di maturare in maniera diversa dai coetanei jugoslavi, per esempio. Quindi il discorso ci interessa, perché i giovani sono il nostro maggior capitale, il futuro del basket riminese: i ragazzi del ’71 e del ’72 stanno crescendo, ancora sono impegnati nel campionati giovanili con discreto profitto, si allenano con la prima squadra, promettono bene, ma sono ancora tutti da scoprire.
Si dice che i nostro giovani, in genere, a 17 anni sono forti come i coetanei slavi, ma già a 21 c’è un abisso fra loro: a 21 anni Divac e Paspalj fanno la differenza in Europa, Petrovic era già devastante e continua ad esserlo. In Italia, che io ricordi, di giocatori determinanti a 21 anni abbiamo avuto solo Meneghin, Riva e Marzorati. Dicono che le difficoltà arrivano, per i giovani, all’approdo in prima squadra: meno tempo dedicato ai fondamentali, un impegno di tipo specialistico, applicazione di schemi che inevitabilmente preparano soluzioni per i giocatori più forti, gli americani, mancanza di responsabilità. Io aggiungerei anche una mentalità che si acquisisce col tempo di tipo professionistico, spesso la mancanza di divertimento, talvolta l’assenza di stimoli, l’assuefazione alla panchina.
Si sta avvicinando, per i ragazzi del ’72, il momento della verità: vedremo come saprà gestirli la società. A 17 anni Paci, per fare un esempio che conosciamo benissimo, in Nazionale segnava 35 punti all’Unione Sovietica e gli pronosticavano un futuro di brillante playmaker; oggi gioca in B2 dopo essere passato attraverso più o meno deludenti esperienze. Non gli difettavano né doti tecniche né mezzi fisici per emergere; gli sono mancati un pizzico di carattere e l’opportunità di maturare esperienza in un ambiente nel quale fosse maggiormente responsabilizzato senza eccessive pressioni.
Fin dal prossimo anno vedremo se i gioiellini di Papini, giudicati giustamente acerbi da McMillen che non ha fatto provare loro neppure l’emozione di assaggiare i parquet di A2, sapranno uscire dal bozzolo: è tempo che il vivaio cominci a dare i suoi frutti.
31 marzo 1989
Leave a Reply
Commenta questo articolo!