La settimana scorsa sono stato invitato, molto gentilmente devo dire, a Telerimini per partecipare ad una “tavola rotonda”, argomento i rapporti della Sacramora con la stampa e le fonti di informazione in genere.
Avevo consigliato di invitare al mio posto il direttore responsabile di Panorama, Werther Casali, che più degnamente avrebbe potuto trattare l’argomento, essendone istituzionalmente preposto. Poi ci sono andato lo stesso, non sapendo, la mia vanità, resistere al fascino dei riflettori e delle telecamere. E così (Casali non c’era) mi sono trovato seduto (altro che tavola, neanche un posacenere c’era) fra Piomboni, anfitrione e redattore capo dei servizi sportivi di Telerimini, Bastida, cronista di Radio Coriano, Radio Rimini e non so quale altra e Gabellini, corrispondente di Stadio, cronache sportive di Telegabbiano, Tagliafuori eccetera.
Assiso fra cotanto senno, vaso di coccio fra vasi di ferro, rappresentante di niente e di nessuno all’infuori di me stesso, depositario di nessuna verità, titolare di nessun potere di fare opinione ma conscio di trovarmi a scrivere solamente per il mio diletto, come forma di partecipazione ad uno sport che ho per anni praticato e amato, la cosa che più a lungo ho fatto è stata quella (lo confesso) di guardarmi narcisisticamente nel monitor, denunciando chiaramente la mia desuetudine al microfono (ho resistito però alla tentazione di salutare a casa).
Qualcuno, fra gli amici che mi onorano di leggere i miei, chiamiamoli così, articoli, mi ha rimproverato di fare ricorso all’ironia, che del resto è connaturata a me come persona, nelle cose che scrivo, anziché inoltrarmi in disquisizioni e considerazioni più tecniche, di occuparmi di frivolezze anziché spendere una parola chiarificatrice sui problemi che travagliano la Società di basket. Ebbene, non sono insensibile al grido di dolore, al pari di voi, che vedete torme di giovani aggrondati, pensierosi, le occhiaie profonde: vi immaginate che li preoccupi l’inflazione, la droga, il lavoro, il sapere se il congresso dei liberali riminesi si sia tenuto sotto la “canadese” che era in piazza Cavour o al Novelli; alla sera, a tavola, le madri invano spingono loro un piatto di tagliatelle sotto il naso: “Dai, non fare così, almeno manda giù qualcosa!” Quelli niente, rimangono chiusi nel loro cupo tormento, divorati dal sospetto: “Ma sarà proprio vero che nella Sacramora comanda uno col 2%?” e le madri: “Coraggio, passerà, adesso esci, distraiti un po’”. Non serve a niente, si mettono a letto, neanche un poco di tele, attanagliati da uno sconforto profondo, totale, con questo dubbio che non li fa dormire: “Ma Carasso, sarà vero che è Carasso a scegliere gli americani?”
Orbene, francamente io credo che questi siano dei falsi problemi, o illusorie problematiche; ritengo quindi che l’ironia, anche su se stessi quando occorra, sia una maniera per evitare di drammatizzare situazioni (la partita di basket è un momento ludico e di spettacolo, per i più) che di per sé sparirebbero di fronte a fatti ben più gravi; soprattutto ci consente di restituire episodi e personaggi ad una dimensione più reale. Al pari di quell’illustre zoologo che aveva fondato il “Movimento per la rivalutazione dei Coccinellidi nel panorama faunistico nazionale” e vi aveva dedicato una vita, cosi mi appare sproporzionato il fatto, e ben privo di ironia chi vi si dedica, di promuovere crociate contro, per esempio, Carasso. E lo dice uno, chi mi conosce ne può garantire, che con Carasso non sempre è andato d’accordo. Gianmaria è uomo dabbene, tutto sommato, anche se talvolta scambia le bretelle con la spina dorsale; è il potere che corrompe e porta all’intrigo come ben sanno, del resto, coloro che lo avversano, detentori anch’essi di un potere, quello di fare opinione.
Ebbene, di Carasso voglio raccontarvi un episodio (da cui prese origine il termine “carassata”) sconosciuto ai più. Nel ’67, se non sbaglio, si svolgeva a Rimini il Primo Trofeo Sacramora (vedi i corsi e i ricorsi storici), torneo internazionale di basket cui partecipavano lo Slavia di Praga, una “all stars” di McGregor, la Candy di Bologna e la All’Onestà di Milano. Una sera, prima dell’inizio della partita, Jo Isaac, americano della All’Onestà, chiaccherava con un altro nero, un fenicottero di 2 e 19, dall’apparente età di 19 anni. Carasso lo tirava per i pantaloni e gli diceva: “Me Carasso, noi fra tre anni in serie A, tu intanto fare università, poi venire a giocare con noi, si? Dai, tu non fare pataca, tu venire, io fare contrattino, molti soldi!” E fregava il pollice con l’indice. Questi, gettatagli un’occhiata distratta, rivolto ad Isaac, in due parole sintetizzò un ritratto del suo occhialuto interlocutore: “Funny man!”
Quel lungagnone si chiamava Lew Alcindor, non si era ancora fatto musulmano, oggi il mondo lo conosce col nome di Karim Abdul Jabbar. Beh, tutto si può dire di Gianmaria, ma non che non sappia scegliere gli americani.
dicembre 1981
Leave a Reply
Commenta questo articolo!