Il nostro opinionista Alberto Bucci, se ne va chiamato a risollevare le sorti della FuturVirtus Bologna, la società più blasonata del basket italiano.
Sarà ancora ospite sulle nostre pagine ma non con continuità e con una rubrica dedicata. Ne abbiamo approfittato per scambiare con lui alcune riflessioni sul basket, lo sport e la società della quale, nolenti o volenti, lo sport è lo specchio.
D) Alberto hai 55 anni e sei nella pallacanestro dal 1966, prendiamo i tre passaggi professionali, i tuoi periodi alla Virtus Bologna (1983 – 1993 – 2003) in uno degli osservatori privilegiati del basket. Come è cambiata la Pallacanestro?
R) E’ migliorata la forza fisica, lo noti dai tempi e dalle misure che gli atleti riescono a fare. I record sono sempre più alti ed azioni come la schiacciata, una volta nel bagaglio sportivo di pochi, ora sono alla portata di tutti. E’ chiaro che la forza fisica rende più difficile lo sport da giocare, questo vale per il basket ma anche per il calcio ad esempio, la risposta tecnica è migliorare i “fondamentali” ma è un’operazione difficile, quindi la forza fisica tende a prevalere sul gesto tecnico, si vede i maggiore esplosività ma meno tecnica insomma.
D) Come è cambiato lo sport tra strapotere del calcio, ridimensionamento del basket e del volley, i problemi degli sport con visibilità olimpica.
R) Si sta diventando troppo professionisti dimenticando che lo sport è un gioco. Mi spiego, è giusto essere professionisti per dare il meglio di te stesso, per continuare a divertirti ed a divertire. Non per guadagnare soldi che è importante ma non fondamentale. Perché quando si va in palestra solo per ragioni economiche si perdono gli stimoli, timbrare il cartellino non è possibile nello sport perché chi ti guarda se ne accorge subito. Trasmette emozioni solo chi ha qualcosa dentro e la butta fuori, la gente si emoziona con te e quello che fai in campo lo fai per ed insieme a loro, ti ritrovi in sintonia con chi ti guarda ed in questo rapporto non si bluffa.
D) Come sono cambiati i giovani, i ragazzi che vengono in palestra e che poi sono lo specchio Imparare a tira fuori se stessi della società.
R) Sono disorientati perché lo sport è un momento difficile dove devi sempre metterti in gioco, superare te stesso. Questo non lo si impara in famiglia, non lo si impara amici ma lo si impara a scuola.
Soffrono sempre più una scuola che non ha sport e che non è una palestra in cui mettersi in gioco, tentare di superarsi.
Così vengono in palestra per diventare protagonisti e non per migliorare se stessi, per mettersi alla prova.
Assistiamo al fenomeno che se non diventano campioni smettono perché non hanno motivazioni diverse dal protagonismo. Si è persa la fascia di giocatori intermedia, che giocano per mettersi alla prova e per partecipare ad un gioco collettivo, con compagni di squadra ed avversari che poi è il bello dello sport ed il motivo per il quale è giusto praticarlo anche in modo dilettantistico.
D) Come sei cambiato tu rispetto allo sport ed alla società.
R) Sono cambiato poco. Ho solo acquisito più esperienza.
L’esperienza è tentare di capire di più e avere gli strumenti per farlo. E’ fondamentale nel mio lavoro dove il rapporto con gli uomini è di primaria importanza perché tecnicamente i giocatori sanno quasi tutto, la chiave del successo o dell’insuccesso è la motivazione dei giocatori.
Io provo sempre ad impostarlo con il divertimento come punto centrale, divertimento come elemento di miglioramento e di contatto con il pubblico che dobbiamo emozionare, divertire.
D) 1974 vieni a Rimini e ci rimani a vivere.
Le differenze tra quel basket (anni 70-80) che era affrancamento, innalzamento del tenore di vita con sfumature naif e quello anni ’90-2000 improntato sul professionismo.
R) Eh sì, a quell’epoca la pallacanestro ti dava qualcosa di più, non era solo un motivo economico (il giocatore guadagnava bene ma lo sport era visto sempre come qualcosa da affiancare allo studio od al lavoro ndr) ma anche la possibilità di fare cose diverse. Il protagonismo era inteso come la possibilità di fare un’attività, vivere in un ambiente dove il pubblico era relativamente poco ma dove chi giocava si conosceva e si riconosceva e dove era patrimonio comune l’essere li per superarsi e superarti in uno spazio dove si testava anche il rapporto intergenerazionale all’epoca più ingessato.
Ora i ragazzi a 16 anni hanno un agente che gli dice dove andare a giocare, cosa è meglio per loro. Diventano calcolatori troppo presto, fanno sicuramente meno errori ma non sbagliando non si migliorano. Commettere l’errore ti dà gli anticorpi per superarlo e per migliorarti, sbagliando si impara e così si impara di meno.
Imparare a tirare fuori se stessi
D) in chiusura, Alberto il tuo sogno nel cassetto
R) Avere la forza di sognare perché sognare significa trasmettere la forza. lo sento molto il con gli problema del disagio giovanile, i giovani sono figli nostri e anche se non sembra loro guardare no noi come esempio. Il mio sogno è continuare a sognare per dire anche a loro di sognare, dirgli di inseguire i loro sogni.
D) il sogno che metteresti nella cassapanca comune
R) Sarebbe facile risponderti un mondo senza guerra, vorrei, insieme alla pace e alla solidarietà, un mondo di dialogo con i figli. La società è cambiata, si lavora in due e non si parla più con i figli, questi crescono e prendono il peggio da noi se non riusciamo a parlare con loro. Sento inoltre il bisogno di una scuola importante dove i docenti siano dietro ai ragazzi a spingere e non davanti a loro per fermarsi ad un sei od ad un sette.
La scuola deve sostituirsi un poco alla famiglia, riempire un vuoto. Migliorare la scuola non è introdurre il computer o l’inglese ma insegnare ai ragazzi a tirare fuori se stessi, a confrontarsi. Questo può dare una grossa mano anche alla famiglia se è vero che dagli ultimi studi e sondaggi sui teen agers quello di cui sentono bisogno maggiormente è proprio la famiglia.
Ciao in bocca al lupo Alberto.
Ciao in bocca al lupo Luca.
Luca Ioli
Chiamami Città
10 dicembre 2003