Tutti gli sport, nel corso degli anni, fanno registrare, soprattutto sotto il profilo atletico, passi da gigante: guardi oggi giocare Rivera, un mito del calcio, e ti viene da pensare che oggi non toccherebbe palla neanche in serie D (a parte il fatto che, già allora, Brera lo aveva soprannominato l’“Abatino”). Anche nel basket si sono registrati progressi inimmaginabili: ho rivisto quest’estate la finale olimpica del ’60, a Roma: nella squadra campione, i soliti USA, giocava gente del calibro di Jerry West e Oscar Robinson, leggende del basket mondiale. A vederli oggi facevano tenerezza: mi veniva da pensare che ai miei tempi avrebbero faticato a giocare in serie C.
Negli anni ’70 anche negli USA era iniziata una sorta di rivoluzione: una maggior attenzione alle doti fisiche aveva fatto sparire dalla scena i giocatori di 1 metro e 80. Del resto, se hai un 2 metri e 5 come Magic Johnson, che ha doti tecniche per giocare play, anche un piccoletto come Nate Archibald, che pure era stato capocannoniere, era destinato a sparire.
Anche in Italia dunque si apre la caccia ai superdotati, in qualsiasi ruolo: in serie C mi era capitato di vedermela con giocatori che provenivano dalla serie A e, tutto sommato, me l’ero cavata, giocandoci alla pari. Il momento di rendermi conto che i tempi stavano cambiando è arrivato nel ’71, alla vigilia della nostra promozione in serie B (sopra c’era solo la A) nel corso di una partita amichevole a Bologna contro la squadra di Mestre che militava già in serie B. A Mestre giocava Giorgio Giomo, una giovane promessa, fratello del più celebre Augusto, già playmaker della Nazionale, col quale me l’ero già vista in campionato l’anno precedente più che dignitosamente; tocca a me (ero un buon difensore, di solito mi prendevo cura degli avversari più forti nel ruoli di play o guardia) occuparmi di lui.
Bastano pochi minuti per rendermi conto che il compito non è proprio dei più agevoli: è 15 centimetri più alto di me, possiede una tecnica invidiabile, se gli sto lontano tira da fuori, se gli sto vicino può battermi agevolmente in entrata, se lo anticipo si mette in posizione di post e mi tira sulla testa a pochi centimetri dal canestro. Scelgo quindi di adottare il principio del minor danno: in difesa lo lascio tirare da fuori, in attacco, dopo aver iniziato l’azione, mi allontano perché non interferisca con raddoppi difensivi nei nostri schemi. Ma il sentimento di impotenza che ho provato mi ha perseguitato a lungo.
A sollievo di questo stato d’animo devo dire che “Giometto” è stato acquistato dal Simmenthal di Milano per contrastare Manuel Raga, messicano cannoniere alle Olimpiadi del ’72, una guardia micidiale che imperversava nell’Ignis di Varese.
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